Nel nostro caso particolare, lo sterrato che vogliamo percorrere, nei tratti più remoti viaggia a chilometri e chilometri di distanza dalla prima cosa che si possa considerare un centro abitato o quantomeno un punto di riferimento e d’appoggio presidiato da esseri umani. Quella che all’inizio poteva sembrare, per quanto originale, soltanto una "piccola" impresa, ora comincia ad assumere l’aspetto di qualcosa di decisamente più impegnativo. Definirla una "follia", a questo punto, è decisamente più calzante, anche perché vanno aggiunte a tutto ciò ancora migliaia e migliaia di chilometri di strade asfaltate. Converrete a questo punto che "follia" è sicuramente un termine adeguato, anche perché, proprio come succede andando dal Brennero a Palermo, a un certo punto del viaggio sarà inevitabile imbarcarsi: lo stretto da attraversare non sarà quello di Messina, bensì quello di Magellano, per raggiungere nientepopòdimenoché la Isla Grande de Tierra del Fuego! Non chiedetemi il perché. Ora che lo scrivo mi rendo conto di non essermi mai posto questa domanda: perché andare proprio in Argentina e attraversarla tutta, dalla Pampa alla Patagonia, in sella a una Vespa? Vada per la Vespa che è la nostra passione e il motivo che ci ha fatto incontrare, ma... l’Argentina?
So di certo che quando mi hanno proposto di far parte di questa avventura, da subito, non ho avuto alcun dubbio: io ci sarei andato! Ma era una certezza soltanto mia. In quel momento non ero assolutamente certo di potermelo permettere, tanto da dichiarare pubblicamente di non contare su di me. In cuor mio, però, sentivo che questa occasione non me la sarei lasciata scappare. Non sapevo come l’avrei comunicato a mia moglie. Non sapevo come avrei "distratto" dai fondi famigliari i denari che mi sarebbero serviti per partecipare. Soprattutto sapevo poco o nulla del paese dove saremmo andati: l’Argentina per me non era altro che Maradona e la sua nazionale di calcio vista in campo ai mondiali. Dell’Argentina in quanto nazione ne avevo sentito parlare per la sua crisi economica, con le tragiche ripercussioni sui risparmiatori italiani. Avevo anche un vago ricordo dei casini politici degli anni passati. Colpevolmente non avevo mai avuto l’attenzione di interessarmi a una parola terribile come desaparecidos, fino a quando, in un giorno di sole, mi sono trovato a passare davanti alla Casa Rosada stretto in un taxi, insieme ad altri compagni di viaggio. Ho scoperto così che le madri di Plaza de Majo manifestano ancora oggi, con i loro striscioni e i fazzoletti bianchi legati sulla testa, affinché il mondo non dimentichi.
Non avevo nemmeno la più pallida idea di che cosa fosse la "Ruta 40", la Cuarenta come la chiamano laggiù. Prima di partire, ovviamente, mi ero documentato. Ma per capirlo veramente ho dovuto aspettare di trovarmi a vivere lo scorrere dei chilometri, interminabile, come quei rettilinei che prima di allora credevo potessero esistere soltanto nei cartoni animati di Willy Coyote. Mi ha aiutato il sapore della polvere, scricchiolante sotto i denti, ma l’ho compreso del tutto solo quando ho cercato di domare la mia Vespa in balia di un fondo stradale spesso impossibile, maltrattato da un vento sempre presente e a tratti implacabile. La cosa buffa e sorprendente è che ho avuto la netta sensazione di non essere stato l’unico sprovveduto a imbarcarmi in questa avventura, e che ci sia stato un approccio simile anche per diversi miei compagni di viaggio. Siamo partiti più o meno consapevoli di quella che per qualcuno era una sfida e per altri soltanto una vacanza originale e, a un certo punto, ci siamo accorti che non stavamo solo attraversando una nazione immensa e meravigliosa: stavamo viaggiando dentro noi stessi, muovendoci in un luogo magico, difficile da descrivere a parole. Il paesaggio e il clima variavano giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro. Riguardando le foto scattate durante il viaggio, mi rendo conto che, per quanto belle, nessuna riuscirà mai a riprodurre fedelmente la meraviglia di quei luoghi e a rendere, anche solo in parte, l’idea del nostro stato d’animo a chi non c’è stato.
Un ricordo indelebile è quello del nostro arrivo a Ushuaia, capolinea di questa avventura. Ci eravamo fermati a lato della strada, con un piede a terra per sorreggere le Vespa, e per una frazione di tempo imprecisabile non è successo nulla. Nessuno ha fiatato. In quell’istante, credo, si sia focalizzata nella mente di ognuno l’immagine della carta dell’Argentina, con il tracciato di tutta la strada percorsa fino a quel momento. Nell’arco di poco più di due settimane ne avevamo fatta tanta quanta ne avremmo potuto percorrere andando su e giù per tre volte consecutive lungo tutto lo Stivale! Tutte le Vespa partite da Buenos Aires, anche se più o meno funzionanti, erano arrivate fino in fondo, e tutti i partecipanti, anche se più o meno in salute, ce l’avevano fatta a raggiungere il traguardo: eravamo riusciti a portare a termine la nostra "piccola" folle impresa!